“Disamore” è un sogno lucido condotto da una mente solitaria e distorta, che nel grigiore quotidiano rivive un ricordo mai avvenuto e materializza i propri desideri in qualcosa di irrealizzabile. La danza, coi suoi movimenti morbidi e plastici, si contrappone alla tormentata rabbia del cantato, trovando per un momento un punto di contatto, ma portando ad un finale dove la separazione è inevitabile.
Le Piccole Morti, formazione della provincia di Modena arriva al debutto discografico, il nucleo della band esiste fin dal 2010 e durante questi anni ha pubblicato due dischi autoprodotti come Old Scratchiness, per poi cambiare nome nel 2017 e iniziare a comporre musica e testi in italiano, arrivando a definire il proprio genere “Noir Rock”: una sorta di rock alternativo con spunti jazz, elettronici e cantautorali.
Tutte influenze riscontrabili nelle cinque tracce del loro primo Ep, intitolato “Vol. 1” e pubblicato dall’etichetta New Model Label, nel quale ha partecipato come ospite ai violini anche Nicola Manzan (Bologna Violenta) nel brano “Piccole Morti“.
La line-up si compone dei due fondatori Alessandro Degl’Antoni e Federico Caroli, rispettivamente voce e basso della band.
In ordine di inserimento nella formazione vi sono poi Alex Cavani (chitarre), Francesco Ferrari (tastiere & synth) e Lorenzo Petrucci (batteria).
Hanno condiviso il palco con: Ecstatic Vision (USA), For Dummies (MEX), Eremo, Monolith Grows!, Gorilla Pulp, Flying Disk, Cani dei Portici, Fakir Thongs, Amber Town, Exit Limbo, Kaos India, Pin Cushion Queen e molti altri.
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I BRANI DI “Vol.1” – (Alex Cavani)
– Introduzione: si tratta di un sospiro atmosferico giocato su una chitarra che suona come un synth, raggiunta poi dalle tastiere e dagli effetti elettronici che formano uno scenario dai contorni quasi industrial dal sapore “urbano”. Al centro c’è la voce, dal mood teatrale, che recita quello che è un po’ il nostro manifesto; ma è quello di tutti voi che ascoltate.
Disamore: sotto la patina di una struttura pop c’è un brano che ancora una volta ha un testo forte dalla sua parte, esaltato dalle chitarre in accordatura aperta, specificamente in DADABD; un’accordatura che ho elaborato come un personale omaggio ai Sonic Youth e al genere shoegaze. A metà brano un intermezzo pianistico dalle sfumature jazz catapulta l’ascoltatore in un’atmosfera fumosa e fuori dal tempo, per riportarlo poi con rabbia e disperazione all’ultimo ritornello.
Sipario: il brano più vecchio in scaletta, nato in lingua inglese e poi divenuto il primo brano che abbiamo ricomposto in italiano. Il testo è personalmente il più bello del disco, anche perché Alessandro parla di un episodio della sua vita in modo molto intimo e sentito e troviamo influenze jazz, soprattutto nel lavoro del pianoforte, mentre la chitarra prende qualche ispirazione sia dal mio “maestro” John Frusciante, sia dal filone NWOBHM (nella seconda strofa). Un arpeggio dal sapore sinistro, giocato su accordi diminuiti, porta il brano alla sua regale conclusione, dove trionfa il pianoforte su tutti gli altri strumenti.
Interfuit: si riparte dal pianoforte per questo brano, che è l’ultimo che abbiamo composto e sul quale abbiamo sperimentato maggiormente con le influenze moderne ed elettroniche, che in realtà si contrappongono alla “classicità” delle melodie del piano. Una drum machine fredda e distaccata segna il tempo in 3/4 su cui si appoggiano piano, basso e chitarra, ancora una volta con influssi jazz. Il ritornello in 6/8 invece cambia le carte in tavola, spingendo le distorsioni su lidi post rock, abbellite da synth acidi da soundtrack distopica. La coda finale si muove proprio sulle coordinate di un’ipotetica colonna sonora futuristica, spegnendosi proprio al suo culmine.
Piccole Morti: l’ultimo brano in scaletta è il più lungo ed articolato del disco e si può dividere in due parti ideali; la prima è costituita da una chitarra acustica e dalla voce che si muove sui registri bassi, a disegnare uno sfondo crepuscolare ed intimo, ben presto arricchito dai violini suonati da Nicola Manzan, che donano pathos al ritornello. La seconda parte invece, introdotta da un assolo di pianoforte che modula l’atmosfera del brano, ha inizio con la chitarra elettrica che insieme al basso compone un’inedito giro funk, ancora debitore delle influenze di John Frusciante, che mi caratterizzano particolarmente, al quale si aggiungono una batteria tribale e i cori; tutto si intensifica e sfocia nella coda finale, tra post rock e funk, ma anche una piccola citazione pianistica che profuma di The Cure. Il finale è all’insegna degli arpeggi acustici, che chiudono delicatamente il disco.