Se dovessi dire in poche parole questo disco, direi: morte, sradicamento e dimenticanza. Rimpianto. Terra”. Comincia così lo scrittore Sandro Campani a raccontare “Quattro ”, nuovo lavoro degli Ismael, formazione che vede insieme a Campani (voce, chitarra elettrica, armonica), Giulia Manenti (chitarra elettrica), Barbara Morini (basso), Piwy Del Villano (sax, tenore, sopra, contralto) e Luigi DelVillano (batteria).
A quattro anni dal precedente “Tre”, la band reggiana torna con undici pezzi animati dalle devozioni di sempre. Alle parole della terra – Campani ha da poco pubblicato per Einaudi il romanzo “Il giro del miele”, ambientato negli stessi luoghi di questi brani. E al suono sanguinante elettricità delle chitarre, intanto che basso e batteria ne misurano il battito. Un cantautorato rock che in questo“concept-album mascherato”, come lo chiamano loro, fa i conti con lo sradicamento di una terra, l’Emilia, da cui “ci siamo allontanati, nonostante siamo sempre qui. E così ci siamo allontanati da noi stessi e siamo morti, perché la terra non perdona”.
Cantare l’Emilia oggi significa pagare un tributo a chi l’ha già cantata.
Tuttavia è una direzione dalla quale gli Ismaelripartono per raccontare cosa c’è dopo la deriva edonistica e disperata dell’Emilia Paranoica. “Ora siamo nella post-deriva ”ed è di questo che narrano brani come “La gente che vive”, furiosa staffilata che fa da possibile manifesto di tutto il disco. O “Canzone dello specchio”, fotografia di “un’etica del lavoro che si è trasformata nell’etica del farsi il culo, testa a terra, disossandosi e perdendo qualunque visione che non sia quella dell’accumulo di ricchezze e di rancori”. La calpesti, ci affondi, nella terra d’Emilia, ma non riesci a vederla davvero.
“Altrimenti non ci metteremmo a cantarla”. E allora ti chiedi “com’ è che ci vive la gente che vive”.
Lo sradicamento è anche una questione di spopolamento, di perdita, di mancanza, di morte.
“Spopolamento della terra e anche dell’anima, non saprei come dirlo altrimenti”. Così “E dove andrai Luchino”si concentra sulla fascinazione di chi resta per le (ipotetiche) avventure di chi se n’è andato.
“Quante case spente ” è un commiato con un finale liberatorio, mentre “Canzone dei salici” parla di ritorni e di abbandoni. Fra questi stati d’animo il singolo “Canzone della vedova”, una cavalcata intrisa di rimpianto sulle briglie non trattenute di riff e feedback. Un rimpianto con cui però si può venire a patti, vedi “Canzone del melo”, attraversata dalla serenità di un vecchio che piano piano dimentica le cose, compresa sua figlia, e parla solo con gli amici morti.
In fondo dentro “Quattro” la morte è “Il nocciolo della questione”, come titola il brano ispirato dall’omonimo libro di Graham Greene che disegna un agghiacciante sogno di putrefazione. Riconoscere la morte, averla al fianco e dentro , farci i conti. GliIsmaello fanno con quella musica morta, “una musica morta per morti ” che è il rock.
Tuttavia il vigore con cui imbracciano i loro strumenti, l’intenzione determinante del songwriting, il livello di compattezza a cui è giunto il loro suono ormai definitivamente maturo, l’incisività degli interventi di sax, ma anche del pianoforte (l’ospite Emiliano Mazzoni) e dell’hammond (Andrea“ Fonta” Fontanesi) dicono tutt’altro.
Dicono di una vitalità carsica che irrora queste canzoni nutrendo una sorta di gioia di reagire. Che è poi quella di suonare insieme, di lasciarsi andare, “di abbandonarsi alla ripetizione variata, all’ossessività, ai riff, ai pattern sovrapposti. Volevamo che ci fosse spazio per abbandonarsi, per delirare se è il caso”. Cioè perdersi nel suono delle chitarre e delle parole, trovare un rifugio e una catarsi. Nonostante la morte e la fine di un mondo.
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