Robokiller è il primo album della band veronese Thing Mote . Dopo vari EP, la band decide di racchiudere la sua poetica in dieci canzoni che seguono una sottile linea rossa, un unico comune denominatore. Questo filo che tiene le canzoni ancorate l’una con l’altra è una riflessione sulla perdita progressiva di umanità , del rapporto che c’è tra uomo e tecnologia al giorno d’oggi. Viviamo in una società ormai incentrata sulla comunicazione digitale, ognuno di noi ormai ha una vita reale e una vita virtuale, con il rischio di non riconoscere più quale sia quella vera.
La tecnologia quindi, invade il nostro quotidiano, mutandoci nel profondo, anche inconsciamente. Attenzione, l’album non vuole essere una sorta di manifesto luddista, ma anzi, vuole essere uno spunto di riflessione, estremizzando talvolta alcune situazioni: Robokiller rappresenta quindi una sorta di “Black Mirror” musicale, ovviamente in chiave rock.
Il rock è il genere che i Thing Mote da sempre usano per esprimersi e sperimentare la propria idea di musica. Un insieme primario in cui variare e spostarsi, mantenendo comunque un’idea chiara della propria visione. Sicuramente il grunge e il post-rock sono due sfumature, due basi, presenti sia nella storia dei Thing Mote che all’interno dell’album Robokiller . Le chitarre distorte, il noise, i riff accattivanti e i ritmi “pieni” della batteria generano un tappeto sonoro di grande impatto.
Grande risalto e importanza è stata data inoltre ad un altro strumento, spesso non considerato tale: la voce. Le melodie e armonie vocali infatti, scritte e cantate dai due cantanti Giuliano e Tommaso, si fondono perfettamente sia all’interno delle canzoni che nella testa di chi le ascolta. Il tutto è stato sapientemente confezionato dalle mani e dalla mente di Jacopo Gobber, che ha saputo trovare l’amalgama giusto per accomunare le canzoni anche dal punto di vista di sonorità. La registrazione e la produzione è stata eseguita infatti presso il Flaming Studio di Verona, studio fondato e diretto dallo stesso Gobber .
Le sonorità sono profonde, a tratti cupe e suscitano sensazioni di ombre e luci, catapultando l’ascoltatore in una dimensione quasi cinematografica, come se la canzone stessa fosse un perfetto connubio tra trama e colonna sonora. Le canzoni non sempre seguono la classica struttura pop/rock ma anzi, sperimentano nuovi orizzonti, quasi come fossero più canzoni all’interno della stessa, lasciando sempre chi le ascolta con la curiosità di scoprire cosa accadrà dopo. Alcuni testi sono semplici ma d’impatto, altri più complessi ma quasi poetici, il tutto per poter descrivere al meglio i concetti da esprimere sia tramite le parole che tramite la musica.
Insomma, Robokiller è un album che si presta ad un ascolto su più livelli, sia per quel che riguarda i temi trattati, per il suono espresso e per la struttura delle canzoni.

Batteria Fabio Dai Prè
Bass: Pietro Donnarumma
Voce e chitarra Giuliano Fasoli
Voce e chitarra Tommaso Zanardi
Prodotto da Thing Mote e Jacopo Gobber
Registrazione, mixaggio e mastering Jacopo Gobber presso Flaming Studio (Verona)
Progetto grafico Giuliano Fasoli
TRACKLIST
- Robokiller
- Stillness
- Redroom
- Memories
- Awake
- Auckland and You
- Her
- Machines Are Coming
- Hoax
- Wasteland
TRACK BY TRACK
ROBOKILLER
I Robot Killer, sono una possibilità non più così remota. Secondo il Dipartimento della Difesa americano, entro il 2050 gli eserciti saranno formati quasi esclusivamente da robot killer capaci di selezionare e colpire obiettivi senza l’intervento umano, senza che nessuno prema un pulsante.
“It can’t be programmed and it can act alone” Ma siamo sicuri che lo sviluppo dell’intelligenza artificiale connesso agli armamenti sia la soluzione
definitiva per i futuri scacchieri geopolitici? Su questo punto ci si interroga nella prima parte della canzone “More wars, more peace it’s the equation” Anche l’uomo quindi, può agire come un robot: quindi di chi sarebbe la colpa?
STILLNESS
Essere un ingranaggio del ciclo produzione-consumo ha dei costi per l’individuo, ma spesso tendono ad essere invisibili. Se la staticità, come può essere la disoccupazione, non attivando il ciclo, è un valore negativo e rigettato dalla società in cui viviamo allora può portarci ad una apatia che può sfociare nella staticità definitiva (morte).
FREDROOM
Si canta di come l’artificialità sia arrivata ad intaccare la sfera dei sentimenti umani. I due protagonisti si amano carnalmente e sentimentalmente. In un residuo di nostalgia di quando le cose erano reali uno/a dei/delle due spara a quello/a che di fatto è un androide. Solo il flash dello sparo rivela le pareti rosse della stanza, le quali sostituiscono cromaticamente il sangue, mettendo in risalto le parti metalliche ed elettroniche che esplodono, piovono, si adagiano sull’umano perduto.
MEMORIES
Un evento doloroso, che si tramuta in un pensiero ricorrente. Questo pensiero però, è talmente invaso dalla rabbia e dalla rassegnazione che passa attraverso varie fasi temporali: il passato, il presente, il futuro. Ma non è detto che sia accaduto, che stia accadendo o che accadrà; può essere tutto frutto di una immaginazione rabbiosa. Il concetto di tempo diventa spunto per una riflessione in chiave tecnologica. L’evoluzione della
tecnologia e della società fa sì che non siamo più padroni del nostro tempo. Che tra i nuovi valori compare la velocità. Che dobbiamo trovare dei momenti per stare con noi stessi. Che chi è lento è perduto. Ma qual è il tempo che il progresso tecnologico dovrebbe farci risparmiare?
AWAKE
La canzone è suddivisa in quattro parti e narra del rapporto tra uomo e tecnologia in chiave volutamente provocatoria ed estremizzata.
La prima, dal titolo “The night of the dying minds”, lascia intravedere un futuro in cui l’uomo smette di pensare in quanto sostituito anche in quello dall’avanzata tecnologica. Si passa quindi alla seconda parte: “Better safe than sorry”. Prevenire è meglio che curare. La coscienza pensante ha dato degli stimoli cerebrali all’uomo alienato. Si chiede cosa stia succedendo mentre viene continuamente pervaso da impulsi esterni (“voices”, “screams”) che altro non sono che mail, notifiche, messaggi. La terza parte della canzone si intitola “Realize”. L’essere umano pensante è tornato ad avere il pieno controllo di se stesso. Evoluzione della tecnologia ma involuzione della specie. L’uomo si è contrapposto alla natura, si è isolato, andando ad annullare l’umanità e la fratellanza (“Cain and Abel”) in cambio di una realizzazione virtual-egocentrica del proprio io.
La canzone termina con “Raise Up”, l’ultima parte. E’ il punto zero. Si ricomincia da capo, (“Time to wake up, again”). Un’altra strada da percorrere però è possibile (“Take up the route again”) e anche se può sembrare difficile (“The sun is dark”) ci si prova cercando di affrontarla in un altro modo, per l’ennesima volta (“Take off your shoes, again”).
AUCKLAND AND YOU
La distanza di due innamorati. Nella prima parte c’è un tono più terreno: la distanza è fisicogeografica, nella seconda parte il tono è etereo: la distanza non è la cosa più importante, il loro amore travalica le barriere del tempo (“now that we are old”), della morte (“Even if I’m gone”), della
materialità (“only light”). C’è solo un piccolo accenno alla tecnologia nella prima parte con “no text” e che non può sopperire o essere surrogato di sentimenti.
HER
Il titolo è un chiaro riferimento al film di Spike Jonze del 2013 con protagonista Joaquin Phoenix mentre la canzone ne è una libera interpretazione. Dopo svariate delusioni amorose, un uomo si innamora in modo ossessivo compulsivo di un programma che simula un essere umano. Ma questo
non può che essere appunto un amore virtuale, tossico (“I don’t care if it is her or him But she’s my heroin”). Eroina sia come eroe, punto di riferimento, che come dipendenza. Una relazione virtuale come questa non è nulla di nuovo. Esistono infatti relazioni tossiche di questo tipo anche tra due essere umani in cui una personalità annulla l’altra rendendo però la più debole quella virtuale non viceversa come nella canzone in cui la personalità più forte è proprio quella virtuale. (“Let me feel a real queen”).
MACHINES ARE COMING
L’inesorabile avanzata della “macchinizzazione” umana. Il tendere ad un’esclusione progressiva di ostacoli propri dell’uomo (“feelings”, “dreaming”) in favore dell’efficienza e dell’utilità (“beating”, “breathing”) propri della macchina. Il risultato è un conformismo, una perfezione impossibile da raggiungere che rende facile il controllo di questa falsa evoluzione-rivoluzione. Le macchine non stanno arrivando, le macchine sono già qui.
HOAX
Le notizie false, catalizzate da internet che viene investito di un’autorevolezza impropria solamente per la sua forma di parola scritta e pubblicata.
Nell’introduzione si descrive un’impossibile e assurda conferenza di quattro personaggi: il filosofo Foucault, lo scrittore E.A. Poe, il filosofo del linguaggio Wittgenstein e il regista Orson Welles Nella seconda parte prende la parola la preda perfetta delle bufale, che non riesce a godersi la
realtà, non ascolta gli insegnamenti della nonna (il passato) per abbandonarsi alla superficialità dei social senza un minimo spirito critico.
L’ultima parte è la preghiera di resistere, di usare i libri come l’ultimo salvagente in un oceano matematico che inghiottito la nave dell’umanesimo.
WASTELAND
Il titolo è una chiara citazione al poemetto modernista The Waste Land di T.S. Eliot di cui si cita anche il passo in cui il London Bridge è percorso da morti che camminano in stato di alienazione. La progressiva disumanizzazione, androidizzazione (“counting electric sheeps” riferimento a P.K.
Dick) dell’umano e un tentativo, sospeso (“I can’t believe…”), solo pensato, di poter tornare indietro. Nella seconda parte si abbandona la speranza, dopo la progressiva accelerazione del tempo (anche musicale). Ci si trova così nella terra desolata (“in this waste land”) ridotti a connessioni artificiali (“shrinking in the wire”), senza speranza in religioni o politica (“gods”, “polls”), abitando antiche rovine di una gloriosa storia passata, le quali sono destinate a venir sommerse dall’innalzamento degli oceani (“…these ancient ruins are here for the fluids”), mentre i tecnici (“engineers”) ci distanziano dai sentimenti umani.

I Thing Mote sono una band nata a Verona a fine 2006 precisamente, ed involontariamente, nel giorno di nascita di Jimi Hendrix forse un segno del destino. Thing Mote significa “luogo di ritrovo” che meglio non poteva esprimere lo spirito della band: il luogo di ritrovo infatti non è inteso in termini fisico-spaziali, ma in senso più astratto ed ampio che vive di condivisione artistico-musicale e di profondi rapporti umani. Per quanto sia odiosa la categorizzazione in generi definiscono quello che fanno con il nome di Alternative, che è di fatto un non-genere, proprio per questo tentano di dargli una definizione attraverso l’unione delle loro differenti esperienze musicali, la sovversione delle strutture classiche del Rock e la loro visione espressiva.
Il primo EP, Mote EP, autoprodotto, esce nel 2010 e contiene i primi tre pezzi inediti della band. L’anno successivo, pubblicano un nuovo EP, di cinque canzoni inedite, sempre autoprodotto, dal titolo Scratches from the ground above , accostato dalla stampa a Nirvana , R.E.M. , White Stripes,
Vampire Weekend e Pixies . La seconda uscita ufficiale rappresenta una maturazione nella scrittura delle canzoni, che segnerà il cammino verso una maggiore consapevolezza musicale. A Settembre 2013 esce Stabstrings – A Genuine Acoustic EP, quattro canzoni (due inedite) in cui
per la prima volta decidono di cimentarsi con sonorità acustiche, tra Radiohead e Simon & Garfunkel, accompagnati da un malinconico violoncello. Registrato presso il The Box Studio di Francesco Tomè, l’EP è recensito positivamente da vari siti del settore.
Nell’Ottobre 2014 pubblicano un mini EP composto da tre canzoni: un inedito, una versione elettrica di un pezzo presente in Stabstrings e una reinterpretazione di Lucy in the sky with diamonds dei The Beatles . Alive in the sky with no reason , questo il titolo, segna il ritorno su sonorità cupe, distorte e a tratti stoner. Anche questo EP è stato registrato presso il The Box Studio. A Gennaio 2016, accolgono con piacere l’invito a partecipare all’iniziativa ” Rivalutare il Dimenticato ” dell’associazione culturale H-Key. L’iniziativa ha come scopo quello di rivalutare, appunto, brani
storici del periodo della Grande Guerra , coinvolgendo musicisti di qualsiasi genere, e di accendere i riflettori sui luoghi di importanza storica ma abbandonati o semplicemente dimenticati.
I Thing Mote hanno scelto di riarrangiare ” Addio Padre e Madre Addio ” del 1916 e di girare il video nelle trincee della Lessinia . Questa canzone segna inoltre l’inizio della collaborazione con il produttore Jacopo Gobber che ha curato il loro primo album Robokiller .












