ALIA feat. PATRIZIA LAQUIDARA
nel nuovo video
“Giraffe”
Il clip, diretto da Marco L. Lega, accompagna la title-track del nuovo disco di Alia in uscita il prossimo 25 maggio per Pippola Music / Contempo Records. Una canzone “che contiene un po’ tutti i temi che vengono trattati all’interno del disco: la ricerca spirituale, il femminile, il senso di compiutezza dell’età matura“.
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Chissà cosa sentono lassù le giraffe. Chissà come vedono noi qui sotto, piccoli e sempre in cerca di qualcosa. Sospese fra il cielo e la terra, fra macrocosmo e microcosmo. Verticali come un’antenna, a captare segnali da un Oltre inconoscibile. Leggere nel passo elegante, come chi ha trovato una sua serenità sospesa. Né troppo in alto né troppo in basso. Ma anche capaci di arrivare a terra, a prendere le cose essenziali della vita.
Sono forse così le “Giraffe”di Alia? Le sue giraffe, rosa nel retrocopertina (un art-work della pittrice Sheila Massellucci), suggerimento discreto di un immaginario saldamente pop, come lo è del resto questo secondo disco. Un lavoro che arriva a quattro anni dal debutto “Asteroidi” (2014) e dopo la pubblicazione a dicembre 2016 per Pippola Music del 45 giri digitale “La lista delle buone intenzioni”, a segnare un punto di svolta nel percorso artistico di Alessandro Curcio verso una forma di pop d’autore più matura e compiuta.
Chi cercherà nelle dieci canzoni di “Giraffe” quel connubio fra rotondità delle melodie e afflato poetico nei testi non rimarrà deluso. Lo stile di Alia è un procedere per angoli smussati e parole che incidono, a questo giro rimarcato dalla produzione di Paolo Favati (Irene Grandi, Pankow, L’Aura e molti altri) e Marco L. Lega (Marlene Kuntz, Üstmamò).
I due imbastiscono intorno al nostro un suono multistrato, ottenuto per via artigianale come si faceva una volta. Dove s’intersecano la viola e il violino di Erika Giansanti (Marco Parente, Paolo Benvegnù), le chitarre di Giuliano Dottori (Amor Fou) e dell’ospite Cesare Malfatti (La Crus), il rhodes e le tastiere di Fidel Fogaroli (Verdena, Paolo Cattaneo). E poi fiati e percussioni a spingere il groove, synth aerei ad elevare brani che stanno sempre un po’ a mezz’aria.
Senza dimenticare le quattro voci femminili di Patrizia Laquidara (nella title-track), Femina Ridens (in “Alessandra”), Martina Agnoletti dei Secondo Appartamento (“Verso Santiago”) e Elisabetta Salvatori (che in “Sei donne” recita una poesia di Hilde Domin). Presenze importanti, che fanno di “Giraffe” un disco molto femminile.
Nei brani c’è una verticalità ricorrente. Accompagnata dalla sfida di trattare argomenti spirituali con lievità, lontano da ogni propensione dottrinaria ma straordinariamente vicino ad una dimensione umana individuale e universale.
“L’attraverso” invita ad essere consapevoli dell’appartenenza alla natura e alla sua caducità muovendosi su un funk melódico, come lo chiamerebbe Caetano Veloso. “La teoria del colore” accenna all’inevitabilità della fine su una quadratura pop da manuale e una serena metafora prelevata dalla moda (“Non mi spavento più / Conosco la teoria del colore”) fra citazioni programmatiche di Umberto Bindi e Mango. La title-track, con la sua melodia raffinata, lascia sbocciare e incrociarsi le voci del titolare e di Laquidara (“in fondo Dio non è che un motivo, per guardare in alto e ci devi passare”). La fotografia emotiva di “Monviso”, una bossa-nova mascherata, racconta il rapporto fra padri e figli, in cielo come in terra.
E poi l’estro visionario di “Alessandra” quale brano su un amore universale e deflagrante. Il ritorno ad una dimensione più orizzontale di “L’india, i bambini”,
autentica canzone di protesta sulla confusione di valori del contemporaneo. A fare il paio con la delicatezza di “Sei donne”, ovvero un synth-pop dilatato quantomai attuale nel suo mettere al centro la lingua e la comunicazione fra culture differenti. L’umiltà come misura del valore in “Madonna dell’Umiltà”, dedicata alla folk-singer Judee Sill e arrangiata su una reminescenza Mina Studio Uno. Un’intensa ballad sulla mancanza di una persona che amiamo quale è “Camaiore”. L’uptempo rallentato e riflessivo di “Verso Santiago”, chiusura di un disco che non risparmia temi importanti porgendoli all’ascoltatore con la leggerezza e la semplicità di chi sa cesellare i suoni e le parole.
Perché in fondo è questa la caratteristica maggiore di Alia: andare in profondità facendo luccicare la superficie. Trasformare ogni increspatura in un’onda di significati. Affermare una visione personale dello scrivere pop-song oggi. Attraverso tracce melodicamente mai scontate, altamente poetiche nei testi – laddove ogni parola risuona di significato insieme alle altre e nella sua unicità. Esemplari nel riportare l’esperienza di una singola vita ad una dimensione collettiva.
In poche parole, ciò che dovrebbe sempre essere il compito della musica leggera: fare bene a chi ascolta, non lasciando squarci di vuoto, ma qualcosa di buono. E chissà che le “Giraffe” di Alia non stiano lassù proprio per questo: cantarci canzoni cariche di verità sull’uomo e bellezza del mondo.
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